Come sta avvenendo per il vaccino anti-Covid, l’Ue rischia il sorpasso da Londra sul fronte delle biotecnologie e dell’ingegneria genetica. Dopo l’avvio delle consultazioni sull’autorizzo del genome editing, la Gran Bretagna post-Brexit prende le distanze dalle politiche comunitarie sulle innovazioni genetiche, equiparate agli Ogm da una sentenza della Corte di giustizia europea nel 2018.
Cia-Agricoltori Italiani esprime la sua preoccupazione e chiede a Bruxelles la revisione di una legislazione ormai obsoleta, che non consente una transizione green in agricoltura, vietando quelle biotecnologie -premiate nel 2020 col Nobel della chimica- che consentono al settore di affrontare con tempestività le sfide della competitività del mercato globale e di realizzare gli obiettivi di sostenibilità tracciati dal Green Deal.
“Il genome editing –dichiara il presidente Cia, Dino Scanavino- non presuppone inserimento di Dna estraneo mediante geni provenienti da altre specie. Si opera, infatti, internamente al Dna della pianta, che rimane immutato e assicura la continuità delle caratteristiche dei nostri prodotti, garantendo anche l’aumento delle rese, insieme alla riduzione dell’impatto dei prodotti chimici e al risparmio di risorse idriche”.
Le nuove biotecnologie arrivano a perfezionare il corredo genetico delle piante in maniera simile a quanto avviene in natura, ma con maggior precisione e rapidità, oltre ad avere il vantaggio di essere poco costose e di potersi facilmente adattare alle tante tipicità dei nostri territori. “L’agricoltura non può fare a meno del miglioramento genetico, che ha da sempre accompagnato la sua storia mediante le tecniche tradizionali di incrocio e innovazione varietale –ha spiegato Scanavino-. Oggi abbiamo bisogno di ulteriore miglioramento per adattare le nostre colture a un contesto ambientale trasformato dal cambiamento climatico e minacciato dalla Xylella e dai patogeni fungini che attaccano la vite”.
“Un ultimo aspetto, riguarda la gestione di queste innovazioni –conclude Scanavino-. Non possiamo permetterci che il miglioramento genetico sia gestito solo da multinazionali lontane dalle esigenze reali del mondo agricolo. Dobbiamo, dunque, promuovere tutti gli strumenti che possano sviluppare nuove relazioni tra pubblico e privato e interazioni più strette tra mondo dell’impresa e mondo della ricerca”.