Nell’Italia del sole e del vento, le rinnovabili faticano a decollare, anzi il più delle volte sono ostacolate da una burocrazia farraginosa, ma anche da blocchi da parte di amministrazioni locali e regionali, da comitati Nimby (non nel mio giardino) e Nimto (non nel mio mandato) senza dimenticare il ruolo del Ministero della Cultura e delle Sovrintendenze.

 

A metterle sotto scacco matto sono normative obsolete, la lentezza nel rilascio delle autorizzazioni, la discrezionalità nelle procedure di Valutazione di impatto ambientale, blocchi da parte delle sovrintendenze, norme regionali disomogenee tra loro a cui si aggiungono contenziosi tra istituzioni. E la poca chiarezza è anche causa delle opposizioni dei territori che devono districarsi tra regole confuse e contraddittorie.

È quanto emerge dalla fotografia scattata dal nuovo report di Legambiente “Scacco Matto alle rinnovabili. Tutta la burocrazia che blocca lo sviluppo delle rinnovabili favorendo gas e finte soluzioni” in cui l’associazione ambientalista racconta e raccoglie venti storie simbolo di blocchi alle fonti pulite.  Storie che riguardano tutta la Penisola, dal Nord al Sud Italia. Si va ad esempio dal Veneto dove il consiglio regionale ha proposto una legge per limitare il fotovoltaico in aree agricole (contenendo la potenza installabile di impianti solari fotovoltaici su aree agricole fino ad un massimo di 200 kWp o 1 MWp, in base alla tipologia di area agricola interessata dall’impianto) ai casi dell’eolico offshore di Rimini, Taranto, Sicilia e Sardegna (Sulcis).

Il primo, quello di Rimini, è contrastato da un’imponente azione NIMBY e NIMTO a livello regionale e locale, in particolare all’interno del Comune di Rimini, che, come effetto immediato ha portato ad un ridimensionamento dell’opera da 59 pale eoliche a 51, riducendo l’area interessata da 113 a 80 chilometri quadrati. Anche dalla Giunta regionale sono arrivati strali inappropriati: l’assessore regionale Corsini infatti, pur in assenza di competenza in materia di VIA si è espresso fin da subito contro l’impianto.

Lo stesso assessore tuttavia che è continuamente sulla stampa a richiedere al governo risorse per nuove strade e autostrade.  Lungaggini burocratiche e ostacoli ricorrenti sono stati registrati anche in Puglia per l’impianto eolico offshore di Taranto proposto nel 2008 a largo del porto della città, costituito da 10 turbine eoliche ciascuna da 3 MW, e che vede l’avvio dei lavori dopo ben 12 anni di opposizioni, prima da parte della Regione e della sovrintendenza in difesa del bellissimo “paesaggio dell’ex Ilva” e poi dell’Amministrazione tarantina. Problemi anche per la realizzazione dell’Impianto eolico galleggiante nel Canale di Sicilia, un progetto ambizioso ed innovativo da realizzare in sette anni e che al momento trova forti opposizioni da parte di alcune amministrazioni, comitati NIMBY e rappresentanti del settore ittico.

Tra le 20 storie censite da Legambiente, ci sono i casi delle moratorie di Abruzzo, Lazio e Calabria. La prima su eolico e fotovoltaico, introdotta con la Legge Regionale n.8 del 23 aprile 2021, che prevede la sospensione delle installazioni non ancora autorizzate di impianti eolici e di grandi impianti fotovoltaici a terra, nelle aree agricole caratterizzate da produzioni agro-alimentari di qualità e/o di pregio paesaggistico-culturale. La seconda, quella prevista dal Lazio, riguarda l’eolico: con l’articolo 75 della Legge Regionale 14/2021 si prevede la sospensione alle autorizzazioni ai nuovi impianti eolici e solari a terra. Ad ottobre, il Consiglio dei ministri ha avviato l’iter per impugnare la Legge Regionale poiché contrasta con la normativa statale ed europea e lede il principio di leale collaborazione fra Stato e Regionale. In Calabria, con un moratoria è stata disposta la sospensione di tutte le autorizzazioni per gli impianti eolici e gli elettrodotti.

 

Tutti questi ostacoli stanno mettendo a rischio il raggiungimento degli obiettivi europei climatici che prevedono una riduzione del 55% delle emissioni, al 2030, rispetto ai livelli del 1990 e una copertura da rinnovabili del 72% per la parte elettrica. Un obiettivo preciso per mantenere la temperatura al di sotto del grado e mezzo e che l’Italia con i suoi 0,8 GW di potenza media annua installata negli ultimi 7 anni rischia di veder raggiunti non prima del 2100. Eppure, sottolinea Legambiente, se anche solo il 50% delle rinnovabili oggi sulla carta arrivasse al termine dell’iter autorizzativo, la nostra Penisola avrebbe già raggiunto gli obiettivi climatici europei.

 

“I pesanti rincari in bolletta dovuti all’eccessivo consumo di gas in Italia – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – si affrontano in modo strutturale, non con l’aumento della produzione nazionale dei pochi idrocarburi presenti nel sottosuolo e nei fondali marini italiani o con un surreale ritorno al costosissimo nucleare, ma con lo sviluppo delle rinnovabili, l’innovazione industriale e politiche di efficienza energetica in edilizia. È urgente snellire le procedure per i nuovi progetti di eolico a terra e a mare, per l’ammodernamento degli impianti esistenti, per la realizzazione dell’agrivoltaico che produce elettricità come integrazione e non sostituzione della coltivazione agricola, per le comunità energetiche che usano localmente energia prodotta da fonte rinnovabile. Il ministro della Cultura Franceschini deve fissare regole chiare sulla semplificazione delle autorizzazioni del fotovoltaico integrato sui tetti nei centri storici, perché altrimenti le Soprintendenze continueranno a dire sempre no, a beneficio di chi vuole fare fotovoltaico a terra e nuove centrali a gas”.

“Al momento – spiega Katiuscia Eroe, responsabile energia di Legambiente – le attuali regole e procedure portano i tempi medi per ottenere l’autorizzazione alla realizzazione di un impianto eolico, ad esempio, a 5 anni contro i 6 mesi previsti dalla normativa. Tempi infiniti per le imprese, ma soprattutto per la decarbonizzazione che ha bisogno di un quadro normativo, composto da regole chiare, e semplici da applicare, e che dia tempi certi alle procedure ma anche di linee guida che indichino come le diverse tecnologie debbano essere realizzate pensando sia agli obiettivi di decarbonizzazione nel 2050 quanto al modo migliore di integrarle nei territori. Inoltre è fondamentale mettere al centro le esigenze dei territori, passando per una partecipazione attiva e costruttiva degli stessi, in grado di far realizzare 9 GW di fonti rinnovabili l’anno da qui al 2030.  Il paesaggio è un bene comune e inevitabilmente sarà trasformato dalla presenza delle rinnovabili, ma questa trasformazione deve avere un valore positivo, con rinnovabili ottimamente integrate che è quello che tutti auspichiamo, e con ciminiere e gruppi di centrali termoelettriche che verranno smantellati”.

 

Criticità e Proposte: Nel report Legambiente ricorda che tra le prime criticità che investono lo sviluppo delle fonti rinnovabili, nel nostro Paese, c’è la mancanza di un quadro normativo unico e certo in grado di mettere ordine e di ispirare le decisioni di tutti gli attori coinvolti nei processi di valutazione e autorizzativi. Il principale riferimento è il Decreto Interministeriale del 10 settembre 2010, emanato dal Ministero dello Sviluppo Economico di concerto con il Ministero dell’Ambiente (ora Ministero della Transizione Ecologica) e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Un testo che ha ormai quasi 12 anni e risulta obsoleto rispetto a quanto è cambiato non solo in termini di conoscenze delle diverse tecnologie ma anche di innovazione e applicabilità.

Per questo l’associazione ambientalista lancia oggi le sue proposte ribadendo l’urgenza di una revisione delle linee guida, rimaste ferme al DM del 2010, con un inquadramento aggiornato del comparto delle fonti rinnovabili e attraverso un lavoro congiunto tra MITE, MISE e Ministero della Cultura. Il varo di un Testo Unico che semplifichi gli iter di autorizzazione degli impianti, definisca in modo univoco ruoli e competenze dei vari organi dello Stato e dia tempi certi alle procedure. 

Inoltre a fianco a processi di semplificazione dei processi, di trasparenza e certezza dei tempi è necessaria una maggiore partecipazione dei territori sia nell’individuazione delle strategie da attuare per il raggiungimento degli obiettivi climatici sia nella realizzazione e individuazione dei siti dove questi devono essere collocati.

 

Storie di blocchi alle rinnovabili: Tornado alle 20 storie raccontate nel report, ostacoli e blocchi si verificano anche nel caso dell’impianto a biometano a San Filippo del Mela (ME), in Sicilia, progetto di riconversione della centrale A2A attualmente alimentata con olio combustibile, legato ad una vicenda controversa, fin qui senza lieto fine, in cui è coinvolta la sovrintendenza. C’è poi la questione dell’impianto a biogas di Pozzallo (RG), ottenuto tramite trattamento anaerobico da rifiuti, che rappresenta un altro caso di “caos legislativo e di opinioni” a cui sono sottoposte le rinnovabili. In Sardegna, oltre alla storia dell’eolico offshore, si segnala anche quella del progetto dell’impianto fotovoltaico nell’area industriale Macomer (NU) contestato dall’amministrazione e quello di revamping dell’impianto eolico nei Comuni di Ploaghe e Nulvi (SS) contestato da Regioni e Sovrintendenza.

Sul fronte eolico, nel report sono riportate cinque storie: quella dell’eolico nel Mugello contestato dalla sovrintendenza ai Beni Culturali che ha chiesto di eliminare tre degli otto aerogeneratori. A ciò si si aggiungono comitati locali, cittadini dei Comuni interessati e alcune associazioni che si oppongono fermamente alla realizzazione di tale opera, che, dopo due anni dalla presentazione del primo progetto, sembra ancora lontana dall’essere realizzata.

 

Situazione simile a Castel Giorgio (TR), dove l’amministrazione si oppone alla realizzazione di sette turbine eoliche a 6 MW, per complessivi 42 MW di potenza, in un’area che solamente oggi, progetto alla mano, viene valutata come non idonea a questo tipo di opera.

Problemi anche per l’impianto eolico a Tuscania (VT), composto da 16 aerogeneratori alti 250 metri, per una potenza complessiva di 90 MW, oggetto fin da subito di una forte opposizione locale – nonostante il parere favorevole da parte dell’Amministrazione comunale – da parte di associazioni e comitati nazionali e locali che insieme hanno inviato oltre cento osservazioni durante la prima procedura di Valutazione di Impatto Ambientale, utilizzando in alcuni casi, per avvalorare le proprie tesi, addirittura false ricostruzioni, finite anche sui giornali.

Ed ancora lentezze burocratiche per l’eolico di Sant’Arcangelo (PZ) e ripensamenti per quello di San Bartolomeo in Galdo (BN), una storia, questa, davvero surreale e che vede Regione Campania e Sovrintendenza di Caserta e Benevento opporsi alla riduzione del numero di aerogeneratori da 16 a 4, di maggior potenza, e che porterà l’azienda a realizzare, con probabilità, il vecchio progetto già autorizzato.

Altro tema è quello relativo all’inadeguatezza, mancata omogeneità e aggiornamento delle norme, come accade in Puglia dove ci sono ben 396 progetti di impianti di energia da fonti rinnovabili in esame tra piccoli e grandi, in zone marginali e non (alcune dei quali anche in zone agricole).

Tra questi, quelli in aree SIN (Sito d’Interesse Nazionale) che risultano attualmente bloccati per via della mancanza delle analisi di rischio sui terreni agricoli interessati, come ad esempio succede a Brindisi. E poi il caso della Basilicata che con la Legge Regionale n. 30 del 26 luglio 2021 che modifica in senso restrittivo alcune prescrizioni tecniche del Piano di Indirizzo Energetico Ambientale Regionale (PIEAR) del 2010, sia in tema di energia solare.