La formazione dei dipendenti è fondamentale per aumentare la competitività aziendale, ma sempre più spesso questi investimenti sono ritenuti troppo complessi da gestire internamente.
Secondo la ricerca “I fabbisogni formativi delle micro e piccolissime imprese italiane”, realizzata dall’Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro in collaborazione con FonARCom, Fondo Paritetico Interprofessionale Nazionale per la Formazione Continua, la formazione in azienda è considerata elitaria, costosa e, sostanzialmente, pratica e obbligatoria.
L’indagine è stata condotta su micro e piccolissime imprese che rappresentano il 93,3% delle aziende italiane, pari ad oltre 1 milione e mezzo di realtà, e occupano 5,1 milioni di addetti (il 36,1% del totale dei dipendenti del settore privato extra agricolo), attraverso un questionario sottoposto a un campione di 1000 Consulenti del Lavoro.
L’attività formativa in Italia è essenzialmente di tipo “obbligatorio”, come quella su sicurezza sul lavoro e ambiente, e riguarda principalmente i giovani da poco entrati nel mondo del lavoro (il 65,5% dei partecipanti a iniziative di formazione ha meno di 34 anni, gli ultracinquantenni sono appena il 10,9%).
L’attività formativa non obbligatoria, invece, interessa soprattutto i dirigenti e i quadri aziendali (64,6%), fra cui rientrano maggiormente i lavoratori anziani.
Ne consegue che i giovani sono sostanzialmente esclusi dalla formazione non obbligatoria, poiché nella gran parte dei casi non ricoprono ruoli di management. Ancora, la propensione a svolgere corsi formativi aumenta al crescere delle dimensioni dell’impresa: in un’azienda con più di 50 dipendenti è oltre 6 volte maggiore (81,3%) rispetto ad un’impresa con meno di 10 dipendenti (13,4%).
I principali ostacoli alla volontà di fare formazione sono di carattere economico e procedurali: gli imprenditori titolari di micro e piccolissime imprese non sono affatto convinti dell’utilità della formazione, le poche esperienze avute non sono state particolarmente “esaltanti”, la formazione non viene vista come un investimento, ma come un costo e gli sforzi economici vengono indirizzati più sul binomio produzione/vendita.
Secondo il 78,6% degli intervistati, si farebbe più formazione se costasse meno farla, se non fosse scollegata dalle reali esigenze produttive dell’azienda (74,1%) e, ancora, se vi fossero più finanziamenti mirati (69,6%).
Fra le imprese che fanno formazione, invece, prevale l’approccio pratico al training on the job (28,3%), la formazione sul campo e le attività sono realizzate essenzialmente ricorrendo a fondi interprofessionali (45,2%) o a società private di consulenza (42,1%).
L’impresa che destina risorse ad un fondo paritetico interprofessionale, infatti,
ha la garanzia che il suo investimento possa tornare utile alla qualificazione professionale dei propri dipendenti, ottenendo un costante miglioramento della loro competenza e preparazione.
In questo scenario, quali prospettive riserva il futuro? Secondo i Consulenti del Lavoro che hanno partecipato al questionario sono attività professionali e servizi per le imprese, servizi di informazione e comunicazione, credito e assicurazioni i settori capaci di attrarre formazione per la netta predisposizione alle attività formative da parte delle aziende operanti nei settori ad elevato contenuto di conoscenza e tecnologia.
La maggiore propensione ad investire in formazione è inoltre legata alla possibilità di certificare le competenze, rendendo misurabili anche i benefici per l’azienda. Tra questi
benefici c’è la possibilità di incrementare le professionalità dei dipendenti e, di conseguenza, la qualità delle loro prestazioni, la partecipazione ai processi aziendali, la motivazione, la capacità decisionale.
Tutti fattori che migliorano nettamente la competitività aziendale.
Si evince, dunque, che le difficoltà per le imprese italiane non sono solo meramente economiche, che non si tratta cioè soltanto di mancanza di fondi o di costi troppo elevati della formazione, né tantomeno di un vulnus di competenze; quanto piuttosto di una questione culturale.
In una Italia di piccole realtà imprenditoriali manca cioè la reale percezione dei benefici che la formazione può portare. Da sempre i Consulenti del Lavoro sono impegnati a diffondere una cultura che invece vada in questa direzione, non solo come formatori ma anche come canale privilegiato di dialogo con le imprese.
“Dall’indagine emerge l’esigenza di proseguire nell’importante percorso di diffusione della cultura della formazione continua, soprattutto nelle piccole e medie imprese”, commenta Andrea Cafà, Presidente di FonARCom.
“Mai come oggi, – precisa – ciò appare indispensabile in ragione dei grandi cambiamenti determinati dall’innovazione tecnologica e dall’introduzione di nuovi modelli organizzativi aziendali.
La formazione intesa, quindi, come valore qualitativo per accrescere le competenze dei lavoratori e la competitività delle aziende. In quest’ottica – conclude – è auspicabile una stretta e concreta sinergia anche con il mondo delle professioni, affinché supportino tale processo all’interno delle imprese, nell’ambito di un moderno modello di relazioni industriali, capace di rispondere in modo efficace alle grandi trasformazioni del mondo del lavoro
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