Riformare la burocrazia è una priorità assoluta per l’Italia ed è anche una condizione imprescindibile perché le risorse del NextGenEu diano i frutti sperati nei prossimi anni. Semplificazione, digitalizzazione e nuove competenze sono essenziali per trasformare la nostra PA.
Per farlo bisogna cambiare approccio decisionale, rivedere organizzazione e strumenti di erogazione dei servizi e modificare il modo di lavorare della PA. Ma non solo: bisogna anche costruire un network di relazioni stabili con gli attori istituzionali e guidare l’evoluzione normativa verso un cambiamento strutturato e integrato».
Ad affermarlo è Fabio Pompei, Ceo di Deloitte Italia, nel presentare il policy paper La semplificazione amministrativa – Come migliorare il rapporto tra PA e imprese, curato da un team coordinato da Pierdomenico Zaffino, partner Deloitte.
«Tutte le regioni italiane presentano livelli di efficienza della Pubblica Amministrazione inferiori al livello medio dei Paesi dell’Unione Europea, con criticità molto accentuate al Sud. Nelle regioni del Mezzogiorno, infatti, il peso della burocrazia sottrae fino a 100 giorni all’anno al lavoro in azienda e le inefficienze generate dalla PA frenano l’avvio di nuove attività di impresa. Inoltre, gli imprenditori del Mezzogiorno fornitori di beni e servizi alla PA devono rapportarsi con attese più lunghe per i pagamenti dalla PA: in media aspettano 17 giorni in più rispetto ai colleghi del Centro Nord. All’opposto, le regioni in cui la PA funziona meglio sono Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, che negli ultimi anni hanno portato avanti iniziative di semplificazione», spiega Guido Borsani, Government & Public Services Industry Leader. «Queste regioni, però, rimangono ancora al di sotto del livello di efficienza media Ue. Per migliorare ancora, la best practice a cui guardare è la Germania, che in 10 anni ha fatto grandi progressi nel semplificare la propria macchina amministrativa, recuperando ben 60 posizioni nella classifica del World Economic Forum che ne misura l’efficienza».
Per allinearsi a questi livelli di performance, l’approccio complessivo di semplificazione amministrativa deve basarsi sull’evoluzione di cinque elementi chiave:
- Cambiare approccio decisionale: da decisioni prese per correggere i singoli problemi a una strategia volta a prevedere i possibili effetti di ogni azione sulla complessità amministrativa percepita dalle imprese.
- Rivedere organizzazione e strumenti di erogazione dei servizi pubblici, per passare da un’offerta frammentata con punti di contatto multipli tra impresa e PA ad un approccio unitario e semplificato.
- Più collaborazione: è importante costruire un network di relazioni stabili con attori istituzionali di tutti i livelli per costruire insieme una strategia di lungo termine dell’intera PA.
- Rivedere il modo di lavorare della PA, non più focalizzata sul semplificare le singole procedure, ma volta a massimizzare l’intera esperienza dell’impresa, in ogni momento di vita e di interazione con la PA.
- Regolamentazione: guidare l’evoluzione normativa verso un cambiamento strutturato e integrato, abbandonando aggiornamenti puntuali con nuove norme in sovrapposizione a quelle già presenti.
«Per favorire questi cambiamenti», dichiara Pierdomenico Zaffino, partner Deloitte coordinatore dello studio, «per il futuro sarà strategico porre la semplificazione amministrativa al centro dei nuovi Piani della Performance delle PA, prevedendo indicatori che oltre a rendere omogenei e confrontabili i parametri di valutazione tra le amministrazioni, consentano di superare definitivamente la “Burocrazia Difensiva”. Il Decreto Semplificazioni di recente è intervenuto sulle responsabilità del funzionario pubblico, rendendo di fatto più rischiosa l’inerzia rispetto all’azione, ma è necessario un ulteriore passaggio organizzativo: l’adozione di un sistema incentivante che premi comportamenti virtuosi delle Amministrazioni e dei singoli funzionari pubblici.».
Conclude Zaffino: «Ad oggi tutto questo non esiste, ma potrebbe diventare realtà con il ricambio generazionale e di competenze atteso nei prossimi anni. Ad esempio, sul fronte della digitalizzazione si potrà procedere a una digitalizzazione non solo del front end dei servizi pubblici, ma anche del back end, premiando soluzioni di automazione già diffuse in altri settori. Inoltre, è di fondamentale importanza preparare la nuova classe dirigente su innovazioni e temi emergenti come Cyber Security, IA, Blockchain, Digital Transformation»,
Sintesi dati dello studio
Troppo frammentata. L’amministrazione pubblica italiana è poco efficiente perché troppo frammentata: la PA conta in totale circa 10.500 istituzioni, molte delle quali diverse tra loro nelle modalità operative e con competenze che spesso tendono ad accavallarsi. Infatti, solo l’1,7% degli organi burocratici è centralizzato, mentre il rimanente circa 98% è sparpagliato in organi locali. Il risultato è un eccesso di norme e soggetti regolatori che rende difficile la vita alle imprese. Un vero e proprio labirinto amministrativo che costringerebbe ogni impresa a spendere fino a 1200 ore in iter amministrativi e comporterebbe un costo annuale della burocrazia per oltre 57 miliardi di euro.
Pochi giovani. Il personale della Pubblica Amministrazione italiana annovera tra i propri collaboratori solo il 2,2% di giovani contro il 30% di quella tedesca e il circa 21% della francese: una caratteristica che comporta una fisiologica mancanza di profili con competenze aggiornate. Inoltre, da un’analisi sui circa 3 milioni di dipendenti pubblici italiani emerge che la distribuzione in termini di anzianità di servizio ed età descrive una macchina amministrativa che necessità di un ricambio generazionale soprattutto per quanto riguarda le istituzioni che esercitano funzioni centrali: l’età media dei dipendenti pubblici di queste unità, infatti, è di circa 55 anni.
Poco digitale. Non esiste una vera mappatura delle competenze digitali del personale dell’apparato pubblico italiano. Ma la mancanza di digital skills nella PA è inevitabilmente legata al basso numero di giovani impiegati. Inoltre, circa il 60% dei dipendenti non è in possesso di laurea: un dato che, insieme alle caratteristiche anagrafiche dei dipendenti pubblici, contribuisce a spiegare il basso livelli di competenze digitali posseduto.
Anche per le imprese serve un cambio di passo. Se è vero che la PA deve essere riformata, anche sul fronte delle imprese c’è molto da fare. Circa il 95% delle attività italiane sono microimprese: una caratteristica che frena gli investimenti in innovazione e digitalizzazione. Inoltre i manager aziendali italiani tendono a essere più anziani della media: il 54% ha superato i 60 anni e il 28% è over 70. Nella classifica del DESI Index 2020, che misura la competitività digitale dei Paesi Ue, l’Italia si colloca ben al di sotto della media comunitaria: al 22° posto su 28. Così, solo il 10% delle nostre aziende a oggi si è costruita una presenza on-line ed è in grado di competere sul fronte della digitalizzazione.