Nel 2018, la stima della spesa media mensile per consumi delle famiglie residenti in Italia è pari a 2.571 euro in valori correnti. La metà delle famiglie spende più di 2.153 euro al mese.

Pur in attenuazione, restano ampi i divari territoriali. Il differenziale maggiore è tra Nord-ovest e Isole (circa 800 euro).

Le famiglie che vivono in una abitazione in affitto destinano oltre un quinto della loro spesa complessiva al pagamento del canone.

In Italia stabile la spesa per consumi delle famiglie

Nel 2018, la stima della spesa media mensile delle famiglie residenti in Italia è di 2.571 euro mensili in valori correnti, sostanzialmente invariata rispetto al 2017 (+0,3%), quando era cresciuta dell’1,6% sul 2016.

La spesa è ancora lontana dai livelli del 2011 (2.640 euro mensili), cui avevano fatto seguito due anni di forte contrazione.

Considerando la dinamica inflazionistica (+1,2% la variazione dell’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività nazionale, NIC), in termini reali la spesa diminuisce dello 0,9%, segnando una contrazione per la prima volta dopo la moderata dinamica positiva registrata dal 2014 al 2017.

Poiché la distribuzione dei consumi è asimmetrica e maggiormente concentrata nei livelli medio-bassi, la maggioranza delle famiglie ha speso un importo inferiore al valore medio.

Se si osserva il valore mediano, ovvero il livello di spesa per consumi che divide il numero di famiglie in due parti uguali, il 50% delle famiglie residenti in Italia ha speso nel 2018 una cifra non superiore a 2.153 euro, invariata rispetto ai 2.154 euro del 2017.

Come in passato, i livelli di spesa più elevati, e superiori alla media nazionale, si registrano nel Nord-ovest (2.866 euro), nel Nord-est (2.783) e nel Centro (2.723 euro); più bassi, e inferiori alla media nazionale, nel Sud (2.087 euro) e nelle Isole (2.068 euro).

La composizione della spesa resta sostanzialmente immutata rispetto al 2017: è ancora l’abitazione ad assorbire la quota più rilevante (35,1% della spesa totale), seguita dalla spesa per prodotti Alimentari e bevande analcoliche (18,0%) e da quella per Trasporti (11,4%).

Coerentemente con le linee guida internazionali, e con i Report precedenti, nella spesa per l’abitazione è compreso l’importo degli affitti figurativi (vedi Glossario), cioè la spesa che le famiglie dovrebbero sostenere per prendere in affitto un’abitazione con caratteristiche identiche a quella in cui vivono e di cui sono proprietarie, usufruttuarie o che hanno in uso gratuito.

Anche al netto di tale posta, nel 2018 la spesa media familiare in termini correnti (1.982 euro) è stabile rispetto al 2017 (+0,2%).

Le famiglie hanno speso per prodotti Alimentari e bevande analcoliche in media 462 euro mensili, senza differenze significative rispetto ai 457 euro del 2017.

Più nel dettaglio, aumenti di spesa si registrano per le carni (98 euro mensili, +4,0% rispetto all’anno precedente), i pesci e i prodotti ittici (41 euro mensili, +3,4% sul 2017) e per caffè, tè e cacao (15 euro, +5,0%).

Le carni costituiscono anche la voce di spesa alimentare più importante in termini di composizione del carrello, rappresentando il 3,8% della spesa totale; il pesce pesa meno della metà delle carni (1,6% della spesa complessiva) e caffè, tè e cacao appena lo 0,6%.

Solo la spesa per zucchero, confetture, miele, cioccolato e dolciumi (che rappresenta appena lo 0,7% della spesa totale) diminuisce significativamente (19 euro mensili, -2,6% sul 2017).

La spesa per beni e servizi non alimentari è di 2.110 euro mensili, anche questa stabile rispetto al 2017 (2.107 euro).

Per Abitazione, acqua, elettricità e altri combustibili, manutenzione ordinaria e straordinaria la spesa resta invariata rispetto all’anno precedente (con l’eccezione del Nord-est, dove si contrae del 3,5%) e pari a 903 euro (il 35,1% del totale), di cui 589 euro di affitti figurativi.

Tra le spese non alimentari, la quota più rilevante dopo l’abitazione è destinata ai Trasporti (11,4%, 292 euro); seguono, nell’ordine: Altri beni e servizi (cura della persona, effetti personali, servizi di assistenza sociale, assicurazioni e servizi finanziari; 7,2%); Servizi ricettivi e di ristorazione e Beni e servizi ricreativi, spettacoli e cultura (entrambe le voci pari a circa il 5,0% del totale, approssimativamente 130 euro mensili ciascuna); Servizi sanitari e salute (4,7%, 121 euro mensili); Abbigliamento e calzature (4,6%, 119 euro mensili); Mobili, articoli e servizi per la casa (4,2%, 108 euro). Solo la spesa per Comunicazioni (pari al 2,4% della spesa totale, 62 euro mensili) si contrae in misura significativa rispetto al 2017 (-2,5%), contrariamente a quanto accaduto lo scorso anno (+2,5%).

In leggero calo i divari territoriali anche se restano molto ampi

Anche nel 2018 si osservano i divari territoriali ben noti, le cui origini vanno ricercate in diversi fattori di natura economica e sociale (redditi, prezzi al consumo, abitudini e comportamenti di spesa). Nel Nord-ovest si spendono mediamente, in termini assoluti, circa 800 euro in più che nelle Isole, e cioè il 38,6% in più in termini relativi, ma il divario scende sotto il 40% per la prima volta dal 2009 (nel 2017 era al 45%).

A pesare di più sulle spese delle famiglie nel Sud e nelle Isole, dove le disponibilità economiche sono generalmente minori, le voci destinate al soddisfacimento dei bisogni primari, quali ad esempio quelle per i beni alimentari: rispetto alla media nazionale (18,0%), la quota per la spesa alimentare è il 22,9% nel Sud e il 21,3% nelle Isole, mentre nel Nord-est si ferma al 16,0%.

Le regioni con la spesa media mensile più elevata sono Lombardia (3.020 euro), Valle d’Aosta (3.018 euro) e Trentino-Alto Adige (2.945 euro); in particolare, nel Trentino-Alto Adige si registrano, rispetto al resto del Paese, le quote più elevate di spesa per Servizi ricettivi e di ristorazione (6,2% contro il 5,1% di media nazionale) e per Beni e servizi ricreativi, spettacoli e cultura (6,1% contro il 5,0%).

La Calabria si conferma la regione con la spesa più contenuta, pari a 1.902 euro (1.118 euro meno della Lombardia), seguita dalla Sicilia (2.036 euro mensili).

In Calabria la quota di spesa destinata a prodotti alimentari e bevande analcoliche raggiunge il 23,4%, l’incidenza più alta dopo quella registrata in Campania (23,8%).

I livelli e la composizione della spesa variano a seconda della tipologia del comune di residenza.

Anche nel 2018, nei comuni centro delle aree metropolitane le famiglie spendono di più: 2.866 euro mensili, +228 euro rispetto alle famiglie residenti nei comuni periferici delle aree metropolitane e in quelli con almeno 50mila abitanti e +417 euro rispetto alle famiglie residenti nei comuni fino a 50mila abitanti che non appartengono alla cerchia periferica delle aree metropolitane.

Nei comuni centro di area metropolitana si registra la più bassa quota destinata ad Alimentari e bevande analcoliche (15,0%, contro 19,1% dei comuni periferia delle aree metropolitane e fino a 50mila abitanti); lo stesso vale per le quote di spesa destinate ad Abbigliamento e calzature (rispettivamente, 4,0% e 4,8%) e Trasporti (8,7% contro 12,4%).

Al contrario, nei comuni centro di area metropolitana le quote più elevate di spesa si registrano per Abitazione, acqua, elettricità, gas e altri combustibili (41,2%, molto sopra il dato medio nazionale, contro 33,0% dei comuni periferici delle aree metropolitane e fino a 50mila abitanti) e per Servizi ricettivi e di ristorazione (rispettivamente, 5,6% e 4,8%).

Le quote di spesa destinate alle altre tipologie di beni e servizi non registrano, invece, particolari differenze al variare del tipo di comune di residenza.

Le famiglie limitano la spesa per abbigliamento e calzature

Le famiglie residenti possono mutare nel tempo le proprie abitudini di consumo sia per il modificarsi della loro struttura, sia perché intervengono cambiamenti nelle preferenze o nella disponibilità economica. Nondimeno, il cambiamento assume forza e contorni diversi a seconda della voce di spesa considerata.

La spesa per visite mediche e accertamenti periodici, in larga misura incomprimibile, è quella sulla quale le famiglie agiscono meno per provare a limitare l’esborso.

Tra quante un anno prima dell’intervista sostenevano già questa spesa, soltanto il 16,1% dichiara infatti di aver speso meno, peraltro con forti differenziazioni territoriali: il 10,1% nel Nord, il 17,9% nel Centro e il 24,1% nel Mezzogiorno.

Per contro, il 6,1% delle famiglie dichiara di aver aumentato la spesa sanitaria. Inoltre, tra le famiglie che un anno prima non sostenevano spese per sanità, si stima una piccola quota (meno di una su cinque) che dichiara di aver iniziato nel corso del 2018 a spendere per visite mediche e accertamenti periodici di prevenzione.

Tra le famiglie che già sostenevano spese per carburanti, il 71,8% non ha mutato il proprio comportamento di spesa (77,2% nel Nord, 64,0% nel Mezzogiorno); il 25,1% ha, invece, provato a limitare questa voce.

La voce di spesa che le famiglie cercano maggiormente di contenere è, nel 2018, quella per abbigliamento e calzature.

Quasi la metà (48,9%) di quante acquistavano già questi beni un anno prima dell’intervista ha infatti modificato le proprie abitudini, provando a limitare la spesa, anche in questo caso con forti differenziazioni territoriali: si prova a risparmiare di più nel Mezzogiorno (62,7%) rispetto al Centro (47,6%) e soprattutto al Nord (40,3%).

Il 39,3% delle famiglie che già sostenevano spese per viaggi e vacanze ha provato a ridurle, con un massimo del 53,9% nel Mezzogiorno.

Tale spesa è comunque, tra le voci considerate, quella con la minore percentuale di famiglie che la sostenevano già un anno prima (poco più di una famiglia su due).

Rispetto a un anno prima dell’intervista, due terzi delle famiglie non hanno modificato le proprie abitudini in fatto di spesa alimentare (il 72,2% nel Nord, il 56,8% nel Mezzogiorno).

 

Livello e struttura della spesa dipendono dalle caratteristiche della famiglia

La spesa media mensile aumenta al crescere dell’ampiezza familiare anche se, per la presenza di economie di scala, l’incremento è meno che proporzionale rispetto all’aumentare del numero di componenti.

Nel 2018 la spesa media mensile per una famiglia di una sola persona è pari a 1.776 euro, ovvero due terzi di quella delle famiglie di due componenti e circa la metà di quella delle famiglie con quattro componenti.

All’aumentare dell’ampiezza familiare, cresce il peso delle voci meno suscettibili di economie di scala (ad esempio, prodotti alimentari e bevande analcoliche) e diminuisce quello delle voci nelle quali è possibile ottenere le maggiori economie: ad esempio, per la quota di spesa destinata ad Abitazione, acqua, elettricità, gas e altri combustibili si passa dal 43,6% delle famiglie monocomponente al 28,9% di quelle con cinque o più componenti.

Per quanto riguarda le differenti tipologie familiari, i livelli di spesa più bassi si registrano per le famiglie di un solo componente con 65 anni e più (1.656 euro mensili).

Confrontando i dati del 2018 con quelli dell’anno precedente, le persone sole di 18-34 anni e, in misura minore, le coppie con due figli, hanno aumentato significativamente la spesa complessiva (rispettivamente, +15,8% e +3,8%) mentre le persone sole di 35-64 anni l’hanno ridotta (-6,5% rispetto al 2017).

La spesa per Alimentari e bevande analcoliche pesa soprattutto tra le famiglie composte da una coppia con tre o più figli (21,5% della spesa totale); la stessa voce di spesa assorbe appena il 12,3% tra le coppie senza figli con persona di riferimento di 18-34 anni, per le quali, quindi, il restante 87,7% va a beni e servizi di tipo non alimentare.

Rispetto alle altre tipologie familiari, le coppie giovani spendono per i Trasporti la quota più elevata (17,2%, pari a 479 euro mensili), complice una maggiore mobilità lavorativa, di studio e familiare. Le spese per Abitazione, acqua, elettricità, gas e combustibili pesano invece di più per le persone anziane sole (48,7% della spesa mensile) piuttosto che per le coppie con due o più figli (28,3%).

Al crescere del livello di istruzione della persona di riferimento, misurata dal titolo di studio, aumentano le disponibilità economiche e, di conseguenza, il livello delle spese.

Si passa infatti dai 1.680 euro mensili delle famiglie in cui la persona di riferimento ha al massimo la licenza elementare ai 3.637 euro di quelle con persona di riferimento con titolo universitario. Queste ultime riservano quote di spesa più elevate a Servizi ricettivi e di ristorazione (6,7%) e a Ricreazione, spettacoli e cultura (6,2%).

Le famiglie con persona di riferimento con la sola licenza elementare, generalmente meno abbienti e mediamente più anziane, hanno invece una struttura di spesa più centrata soprattutto sui bisogni primari (22,6% per Alimentari e bevande analcoliche; 41,4% per Abitazione, acqua, elettricità, gas e altri combustibili) e sui Servizi sanitari e le spese per la salute (6,4% contro una media nazionale del 4,7%).

 

In aumento la spesa delle famiglie dei lavoratori indipendenti

La spesa mensile è strettamente associata anche alla condizione professionale della persona di riferimento della famiglia, che ne caratterizza fortemente le condizioni economiche e gli stili di vita. A spendere di più sono le famiglie la cui persona di riferimento è imprenditore o libero professionista (4.025 euro mensili), seguite da quelle che hanno come persona di riferimento un lavoratore dipendente nella posizione di dirigente, quadro o impiegato (3.314 euro).

Queste famiglie, rispetto a tutte le altre, destinano quote più elevate ai Servizi ricettivi e di ristorazione (rispettivamente 6,5% e 7,4%), a Ricreazione, spettacoli e cultura (6,2% e 6,3%), Abbigliamento e calzature (5,4% e 5,7%) e Mobili, articoli e servizi per la casa (4,7% e 4,1%).

Rispetto al 2017, si registra un aumento significativo (+5,4%) della spesa complessiva tra le famiglie con persona di riferimento in occupazione indipendente ma diversa da imprenditore e libero professionista (2.943 euro mensili).

I livelli di spesa più bassi si osservano, infine, nelle famiglie caratterizzate da condizioni economiche più precarie, vale a dire quelle con persona di riferimento in cerca di occupazione (1.793 euro mensili) o inattiva ma non ritirata dal lavoro (1.805 euro). In entrambi i casi, più di un quinto della spesa è destinato ad acquisti di Alimentari e bevande analcoliche.

Quasi mille euro in meno per la spesa delle famiglie di soli stranieri

Le capacità di spesa e le abitudini di consumo variano a seconda della cittadinanza dei componenti. Nel 2018, il divario tra la spesa delle famiglie composte di soli italiani (2.627 euro) e quella delle famiglie con almeno uno straniero (1.984 euro) è di 644 euro (il 24,5% in meno), divario che sale a 927 euro (-35,3%) se si considerano le famiglie di soli stranieri.

La spesa alimentare assorbe il 21,3% del totale tra le famiglie con stranieri (422 euro mensili), il 17,7%, tra quelle di soli italiani (466 euro) e il 21,9% (372 euro) se in famiglia sono tutti stranieri.

Per Abitazione, acqua, elettricità e altri combustibili e per Abbigliamento e calzature le quote di spesa delle famiglie con almeno uno straniero sono in linea con quelle delle famiglie di soli italiani. Se si considerano invece le famiglie di soli stranieri, il peso relativo dell’abitazione sale al 36,6% (621 euro mensili), e quello di abbigliamento e calzature al 5,2% del totale (89 euro).

Analogamente a quanto accaduto nel 2017, la quota di spesa destinata alle Comunicazioni continua a mantenersi più elevata tra le famiglie con almeno uno straniero (3,1%, pari a 61 euro), in particolare tra quelle di soli stranieri (3,3%, 56 euro) rispetto alle famiglie di soli italiani (2,4%, 62 euro mensili); questo accade soprattutto per effetto dei contatti con la rete familiare e amicale nei paesi di origine.

Le quote destinate dalle famiglie con almeno uno straniero a Ricreazione, spettacoli e cultura sono decisamente più contenute rispetto alle famiglie di soli italiani (3,6% contro 5,1%; rispettivamente, 71 e 133 euro mensili); lo stesso accade per i Servizi sanitari e salute (3,4% contro 4,8%; rispettivamente, 67 e 126 euro) e per i Servizi ricettivi e di ristorazione (4,5% contro 5,1%; 89 e 134 euro).

Osservando le famiglie di soli stranieri, le quote di spesa citate scendono ulteriormente: il 4,0% della spesa totale (68 euro mensili) è destinato ai Servizi ricettivi e di ristorazione, il 3,0% alle spese sanitarie (50 euro) e appena il 2,9% a ricreazione, spettacoli e cultura (49 euro).

 

Le famiglie in affitto destinano oltre il 20% della spesa al pagamento del canone

In Italia, il 18,7% delle famiglie paga un affitto per l’abitazione in cui vive. La percentuale va dal minimo delle Isole (13,7%) al massimo del Nord-ovest (20,2%).

La spesa media per le famiglie che pagano un affitto è di 399 euro mensili a livello nazionale, più alta nel Centro (461 euro) e nel Nord (420 euro nel Nord-ovest e 425 euro nel Nord-est) rispetto a Sud (316 euro) e Isole (309 euro).

La quota più elevata di famiglie in affitto si registra nei comuni centro delle aree metropolitane (27,7%) e nei comuni periferia delle aree metropolitane o con almeno 50mila abitanti (21,0%), rispetto al 14,8% dei comuni fino a 50mila abitanti che non appartengono alla cerchia periferica delle aree metropolitane.

Nei comuni centro di area metropolitana si paga mediamente un affitto pari a 487 euro mensili, 83 euro in più della media dei comuni periferia delle aree metropolitane o con almeno 50mila abitanti, e 142 euro in più dei comuni fino a 50mila abitanti che non fanno parte della periferia delle aree metropolitane.

 

Paga un mutuo una famiglia proprietaria su cinque

Paga un mutuo il 19,2% delle famiglie che vivono in abitazioni di proprietà (circa 3,6 milioni). La quota di famiglie proprietarie che pagano un mutuo è maggiore nel Nord (24,9% nel Nord-ovest e 22,3% nel Nord-est) e nel Centro (20,7%) rispetto a Sud (10,8%) e Isole (11,6%).

Dal punto di vista economico e contabile, questa voce di bilancio è un investimento, e non rientra quindi nel computo della spesa per consumi; ciononostante, per le famiglie che lo sostengono rappresenta un esborso consistente e pari, in media, a 565 euro mensili.

La spesa per consumi, come detto comprensiva degli affitti figurativi (vedi Glossario), è molto differenziata in base al titolo di godimento dell’abitazione (affitto; proprietà; usufrutto o uso gratuito): è pari a 2.813 euro mensili per le famiglie in abitazione di proprietà (di cui il 35,7% destinato ad Abitazione, acqua, elettricità, gas e altri combustibili); si attesta a 2.150 euro mensili per le famiglie in usufrutto o uso gratuito (il 34,3% dei quali destinati al capitolo abitazione); per le famiglie in affitto è 1.855 euro mensili (con l’abitazione che pesa per il 32,3%, di cui due terzi per l’affitto dell’abitazione principale, pari a oltre un quinto della spesa complessiva).

Al netto degli affitti figurativi, la spesa per consumi sostenuta dalle famiglie scende a 2.074 euro per le proprietarie e a 1.595 per quelle in usufrutto o uso gratuito; conseguentemente, muta anche la quota destinata all’abitazione: passa infatti, rispettivamente, dal 35,7% al 12,7% per le prime e dal 34,3% all’11,5% per le seconde.

Considerando, quindi, i soli esborsi realmente sostenuti, le famiglie in affitto hanno, rispetto al resto delle famiglie, minori risorse da destinare agli altri capitoli di spesa; ciò vale in particolare per le quote destinate a Trasporti (11,5% rispetto al 15,4% delle altre famiglie proprietarie, in usufrutto o in uso gratuito), Ricreazione, spettacoli e cultura (4,5% contro 6,9%), Servizi ricettivi e di ristorazione (5,0% contro 6,9%), Servizi sanitari e per la salute (4,6% contro 6,4%), Abbigliamento e calzature (4,8% contro 6,2%) e Mobili, articoli e altri servizi per la casa (3,9% contro 5,8%).

Nel 2018 diminuisce leggermente la disuguaglianza della spesa per consumi

Un confronto tra le spese delle famiglie in termini distributivi può essere operato utilizzando la spesa familiare equivalente, che tiene conto del fatto che nuclei familiari di numerosità differente hanno anche differenti livelli e bisogni di spesa.

La spesa familiare è resa equivalente mediante opportuni coefficienti (scala di equivalenza, vedi Glossario) che la rendono comparabile a quella di una famiglia di due componenti, permettendo confronti fra i livelli di spesa di famiglie di diversa ampiezza.

Se si ordinano le famiglie in base alla spesa equivalente, è possibile dividerle tramite alcuni punti caratteristici.

Ripartendo le famiglie in cinque gruppi di uguale numerosità (quinti), il primo quinto comprende il 20% delle famiglie con la spesa equivalente più bassa (famiglie meno abbienti), l’ultimo quinto il 20% di famiglie con la spesa equivalente più elevata (famiglie più abbienti).

Le famiglie si distribuiscono nei quinti di spesa equivalente, definiti a livello nazionale, in maniera molto differente sul territorio.

Appartengono al quinto di spesa più elevato il 27,4% delle famiglie del Nord-ovest, il 23,5% di quelle del Nord-est e il 23,2% delle famiglie del Centro, contro l’8,7% delle famiglie del Sud e il 10,1% di quelle delle Isole.

Al contrario, più di un terzo delle famiglie del Mezzogiorno (34,0% nel Sud e 35,5% nelle Isole) si posiziona nel primo quinto, contro il 15,5% del Centro, il 12,5% del Nord-ovest e il 12,1% del Nord-est.

Nei comuni centro di area metropolitana la distribuzione delle spese equivalenti è spostata sui quinti più elevati (32,0% delle famiglie nell’ultimo quinto, 15,4% nel primo quinto), mentre nelle altre tipologie comunali si osserva una maggiore equidistribuzione.

In un’ipotetica situazione di perfetta uguaglianza, in ogni quinto si collocherebbe una quota di spesa pari al 20% della spesa complessivamente sostenuta dal totale delle famiglie residenti.

Nel 2018, i primi tre quinti delle famiglie spendono invece meno del 20% mentre i due quinti più elevati spendono più del 20%. In particolare, le famiglie con spese più basse (primo quinto) spendono solo il 7,8% della spesa totale (7,6% nel 2017) mentre quelle dell’ultimo quinto il 39,4% (39,9% nel 2017).

Vista in altra maniera, il primo quinto delle famiglie spende il 38,9% di quanto avrebbe dovuto spendere perché ci si trovasse in una situazione di equidistribuzione, mentre l’ultimo quinto quasi il doppio.

Il rapporto tra la spesa totale equivalente delle famiglie del primo quinto e quella delle famiglie dell’ultimo quinto è un indice di disuguaglianza analogo al rapporto interquintilico, uno degli indicatori maggiormente utilizzati per la misurazione della diseguaglianza nella distribuzione dei redditi.

Le famiglie con una spesa più elevata hanno un livello di spesa equivalente complessiva pari a 5,1 volte quella delle famiglie del primo quinto (5,2 nel 2017, 5,0 nel 2016, 4,9 sia nel 2015 sia nel 2014, 4,8 nel 2013).

Nel 2018, quindi, si registra una leggera diminuzione della disuguaglianza in distribuzione per la prima volta dal 2013.

Spesa in termini reali stabile per le famiglie meno abbienti, in calo per le altre

Nel 2018 si è dunque invertito il trend di aumento della disuguaglianza complessiva registrato negli ultimi anni. Contestualmente, però, si è anche invertita la moderata dinamica positiva delle spese per consumi in termini reali, e quindi a prezzi costanti, registrata nello stesso arco temporale.

Infatti, deflazionando le spese per tenere conto della dinamica inflazionistica per classi di spesa delle famiglie (calcolata sull’indice armonizzato dei prezzi al consumo – IPCA), solo le famiglie appartenenti al primo quinto mostrano un quadro sostanzialmente stabile delle proprie spese equivalenti (con un modesto e non significativo +0,5%), nonostante il loro tasso di inflazione specifico sia stato il più elevato (+1,5% contro una media nazionale di +1,2%).

Tutte le famiglie appartenenti agli altri quinti hanno invece diminuito le proprie spese per consumi in termini reali, in particolare le famiglie più benestanti (-2,4% il quinto più elevato, rispetto a una media nazionale pari a -1,3%); le famiglie del secondo quinto segnano -1,0%, quelle del terzo -0,6% e quelle del quarto -0,8%.

Estendendo l’analisi a partire dal 2013, anno di picco negativo dei consumi delle famiglie dopo il quale si è registrato un periodo di moderata crescita positiva dei consumi reali, la situazione cambia.

Ancora tenendo conto della dinamica inflazionistica differenziata per classi di spesa delle famiglie, nonostante l’incremento dei prezzi sia stato meno accentuato per le classi di spesa più basse (per il primo quinto, +2,2% nel 2018 rispetto al 2013) che per le classi di spesa più elevate (+3,3% per l’ultimo), i primi due quinti delle famiglie hanno diminuito la propria spesa in termini reali (-1,6% il primo, -0,6% il secondo), il terzo e il quarto quinto l’hanno aumentata all’incirca dell’1% (rispettivamente, +0,9% e +1,2%) mentre le famiglie appartenenti al quinto più elevato hanno aumentato le spese equivalenti reali del 3,5%, e sono le uniche a registrare un aumento maggiore rispetto alla media nazionale (+1,6%).

La diminuzione della disuguaglianza osservata tra il 2017 e il 2018 non compensa, quindi, il suo generale aumento in atto a partire dal 2013, accentuatosi in particolare tra il 2016 e il 2017 (quando le spese equivalenti del primo quinto erano diminuite del 3,6% e quelle del quinto più elevato erano aumentate dell’1,7% in termini reali).

Tenendo conto dell’intero periodo a partire dal 2013, la moderata dinamica positiva delle spese equivalenti per consumi in termini reali è, quindi, in larga misura determinata dalle famiglie con maggiore capacità di spesa (ultimo quinto) mentre le famiglie con spese basse (primo quinto) e medio-basse (secondo quinto) hanno visto, con l’eccezione del 2018 per il solo primo quinto, peggiorare la propria situazione e quelle con spese medie (terzo quinto) e medio-alte (quarto quinto) l’hanno leggermente migliorata (sebbene in misura inferiore alla media nazionale).