Comincia in salita il 2019 per l’Azienda-Italia. Nei primi tre mesi dell’anno il bilancio tra aperture e chiusure di imprese ha segnato un calo dello 0,4% rispetto a fine dicembre 2018 e corrispondente, in termini assoluti, a un saldo negativo di 21.659 imprese.
A determinare il risultato in “rosso” è stato il soprattutto consistente balzo in avanti delle cessazioni (136.069 contro le 128.628 del 2018), solo in parte compensato da un moderato incremento delle iscrizioni rispetto allo stesso periodo del 2018 (114.410 contro 113.227).
E’ questa – in estrema sintesi – la dinamica che emerge dalla lettura dei dati ufficiali sulla natalità e mortalità delle imprese italiane nel I° trimestre 2019, diffusi da Unioncamere – InfoCamere.
Nel valutare i dati del primo trimestre dell’anno va ricordato che, statisticamente, questo periodo presenta con una certa regolarità saldi negativi. Ciò per via del concentrarsi alla fine dell’anno di un numero elevato di cessazioni di attività, il cui riflesso si registra negli archivi camerali nelle prime settimane del nuovo anno.
Ciò detto, il trimestre da poco concluso interrompe bruscamente il percorso di rientro – per quanto breve – che, dopo il 2013, si era andato manifestando con una ripetuta attenuazione della perdita di imprese.
In particolare, le 136.069 cessazioni del primo trimestre 2019 costituiscono il risultato meno brillante degli ultimi cinque anni.
A fare le spese del cattivo inizio d’anno sono state soprattutto le imprese più piccole, in particolare quelle artigiane (che al 31 marzo erano 10.473 in meno rispetto alla fine di dicembre), e quelle del Nord (6.991 unità in meno nel Nord-Ovest e 6.542 nel Nord-Est, rispettivamente lo 0,45% e lo 0,57% in meno nei primi tre mesi dell’anno).
Tra le forme giuridiche, l’aggregato che arretra di più è quello delle imprese individuali, diminuito in tre mesi di 26.797 unità (-0,84% contro il -0,75% del 2018), mentre meno significativa, in termini assoluti, è stata la riduzione delle società di persone (8.318 unità, lo 0,84% in meno rispetto a fine dicembre, che eguaglia quello delle imprese individuali). Gli unici segnali positivi – anche se più attenuati rispetto allo scorso anno – continuano a venire dalle società di capitali, cresciute nei primi tre mesi dell’anno di 13.907 unità (+0,81%).
Tra i settori, in termini assoluti i saldi negativi più pesanti si registrano nel commercio (-12.351, il 58% del saldo totale del trimestre), in agricoltura (-7.295 unità, ma va detto che si tratta di una tendenza di fondo che prosegue da anni), nelle costruzioni (-4.380) e nelle attività manifatturiere (-3.746).
Col segno positivo chiudono, invece, le attività immobiliari, quelle professionali e i servizi alle imprese che, insieme, crescono di 787 unità.
Saldo positivo anche per le attività professionali, scientifiche e tecniche (663 imprese in più), istruzione (+156) e sanità e assistenza sociale (+155). Vero e proprio “boom”, infine, per il comparto del noleggio, agenzie di viaggio e servizi di supporto alle imprese: nel trimestre, il bilancio tra aperture e chiusure è stato positivo per 1.222 unità in più, corrispondente ad una crescita dello 0,61%, la migliore tra tutti i settori economici.
Sotto il profilo territoriale, tutte le macro-ripartizioni geografiche chiudono il trimestre con saldi negativi. La battuta di arresto più rilevante in termini assoluti è quella del Nord-Ovest che perde 6.991 imprese, il 32,2% di tutto il saldo negativo del periodo.
A seguire viene il Nord-Est, il cui stock di imprese tra gennaio e marzo si è ridotto di 6.542 unità. Rapportato al totale delle imprese dell’area, questo dato corrisponde a un tasso di crescita del -0,57%, il più pesante in assoluto.
Contengono le perdite, invece, il Mezzogiorno (5.193 imprese in meno, pari allo 0,25% dello stock) e soprattutto il Centro dove, grazie al Lazio (unica regione con la Sicilia a chiudere il trimestre con un saldo positivo, con 716 imprese in più), il deficit si arresta a -2.933 unità, pari allo 0,22% dello stock dell’area.
Discorso a parte per le imprese artigiane. L’andamento di questo particolare comparto produttivo è, infatti, fortemente determinato da quello delle imprese individuali, la forma giuridica più diffusa tra gli artigiani (il 77,4% del totale). A conferma delle difficoltà che ancora condizionano fortemente gli operatori più piccoli e meno strutturati, tra gennaio e marzo il saldo delle imprese artigiane (negativo per 10.473 unità) mostra solo un lievissimo recupero (lo 0,02%) rispetto al risultato del 2018 quando il bilancio fu di 10.944 unità in meno.