Uno scambio tra Flat Tax e IVA, così come prospettato, non sarebbe alla pari: l’aumento delle aliquote Iva previsto dalle clausole di salvaguardia – e non corretto dal DEF – porterebbe nel bilancio pubblico 27,5 miliardi aggiuntivi; di questi la riduzione Irpef ne restituirebbe al massimo 15 miliardi, con una perdita di circa 8 miliardi di euro per le famiglie. Così Confesercenti in una nota.
Insomma, uno scambio tra le due farebbe vincere solo il banco dell’Erario. Se infatti, da un lato, le famiglie potrebbero ‘beneficiare’ a regime, in media di circa 366 euro dal taglio Irpef derivante dalla Flat Tax, dall’altro, a parità di consumi, dovranno sborsarne 687 in più in virtù dell’aumento dell’IVA.
Sul proprio reddito, apparentemente aumentato per la minore Irpef, ogni anno, in media, una famiglia dovrebbe così spendere 62 euro in più per l’acquisto di alimentari, 112 euro in più per l’abitazione, 36 euro in più per i trasporti, 15 euro in più per i servizi sanitari, 93 euro in più per il resto degli altri beni e servizi.
Considerando l’importanza dei consumi per la nostra economia, restituire capacità di spesa alle famiglie e, allo stesso tempo, preservare il loro potere d’acquisto, appare necessario se si vogliono rafforzare le prospettive di crescita.
Trovare le coperture finanziarie che consentano di restituire slancio ai consumi rappresenta un’urgenza primaria per l’azione di governo ed è auspicabile che in questa direzione si lavori in vista della prossima legge di bilancio.
L’introduzione della Flat Tax – ad aliquote IVA invariate – sarebbe un passo decisivo in questa direzione. Se considerate nel loro insieme, infatti la riduzione dell’Irpef e il non aumento dell’Iva appaiono quindi misure capaci di incrementare di 10 miliardi la variazione annua dei consumi.
Ciò consentirebbe di riportare l’incremento del Pil al di sopra dell’1%: una soglia che oggi appare lontana, ma che rappresenta un obiettivo minimo se davvero si vogliono restituire prospettive alla nostra economia.