La centralità del ruolo della sanità pubblica nel garantire la tutela della salute dei cittadini italiani è emersa prepotentemente nella fase di gestione dell’emergenza legata alla diffusione del Covid-19.
A sua volta il sistema ha come pilastro l’erogazione di assistenza gratuita, tramite gli ospedali e le altre strutture del Servizio Sanitario Nazionale, in un’organizzazione complessa che rende la sanità pubblica una delle tre componenti della protezione sociale, insieme alla previdenza e all’assistenza.
Spesa per prestazioni sociali più che raddoppiata dal 1995
Nel 2019, le Amministrazioni pubbliche italiane hanno speso quasi 479 miliardi (in denaro e in natura) per proteggere le famiglie da rischi, eventi o bisogni inclusi nella sfera della protezione sociale (malattia/salute, invalidità, vecchiaia, superstiti, famiglia/figli, disoccupazione, alloggio e altra esclusione sociale); l’ importo sale a quasi 508 miliardi se si includono anche le prestazioni erogate da Istituzioni private (Fondi pensione complementari, Istituzioni sociali senza scopo di lucro e datori di lavoro privati).
Le prestazioni sociali fornite alle famiglie dalle AP hanno assorbito il 59,1% di tutta la spesa corrente sostenuta nell’anno.
Dal 1995 a oggi la spesa per prestazioni sociali è più che raddoppiata e nel 2019 è pari a 2,3 volte quella del 1995. La crescita è stata particolarmente accentuata nel periodo 1995-2008 (+5,0% in media annua) per poi subire un brusco rallentamento tra il 2009 e il 2019 (+1,9%). L’obiettivo di contenere la spesa pubblica per far fronte alla crisi economica e alle difficoltà della finanza pubblica è stato perseguito anche con norme mirate a contenere la spesa pensionistica che, rappresentando circa il 60% di tutte le prestazioni sociali, ha determinato il rallentamento complessivo nel periodo.
Alla previdenza quasi due terzi della spesa, meno di un quarto alla sanità
La previdenza ha sempre rappresentato la prima voce di spesa ma ha visto ridurre il suo peso nel tempo (-4 punti percentuali nell’ultimo anno rispetto al 1995). Nel 2019 ha assorbito il 66,3% delle risorse destinate a prestazioni sociali (317,5 miliardi di euro, il 39,2% della spesa corrente). Alla sanità è andato invece il 22,7% (108,5 miliardi di euro, il 13,4% della spesa corrente) e alle prestazioni di tipo assistenziale solo l’11% (52,7 miliardi di euro, il 6,5% della spesa corrente).
La sanità ha presentato l’incidenza più elevata nel primo decennio degli anni 2000, quando assorbiva circa un quarto della spesa totale, con un picco massimo del 26,8% nel 2006. A partire dal 2008 il peso della componente sanitaria si è gradualmente ridotto fino a tornare nel 2019 (con il 22,3%) ai livelli degli anni ’90.
L’assistenza ha visto crescere il suo peso relativo solo negli ultimi dieci anni. Nel 2014 ha superato per la prima volta la soglia del 9% delle prestazioni erogate (dal 7,1% degli anni ’90) per giungere all’11% nel 2019.
Scende il peso delle pensioni nonostante ‘Quota 100’
All’interno delle prestazioni previdenziali, sono sempre le pensioni la componente più onerosa, con una spesa che assorbe da un massimo del 90,7% nel 2002 a un minimo dell’86,6% nel 2019 (pari a 275,1 miliardi); il peso relativo assunto nel 2019 è il più basso dal 1995, nonostante la spesa aggiuntiva dovuta alla misura denominata ‘Quota 100’ (circa 2,1 miliardi di pensioni, più altri 600 milioni circa di TFR).
La riduzione della quota per pensioni è stata controbilanciata da una crescita nel tempo delle liquidazioni per fine rapporto di lavoro e, soprattutto, delle indennità di disoccupazione, che hanno raggiunto il livello massimo di spesa nel 2019 (12,6 miliardi), mentre la spesa per la Cassa integrazione guadagni (CIG) è ritornata a livelli molto bassi, analoghi a quelli precedenti la crisi economica del 2009 (849 milioni).
Le indennità di disoccupazione e le spese per la CIG sono destinate a crescere nel 2020 per effetto dei decreti emanati per il sostegno al reddito dei lavoratori a seguito della chiusura delle attività economiche per l’emergenza COVID-19.
Erosa negli anni la quota di spesa per l’assistenza ospedaliera
L’assistenza sanitaria erogata da strutture pubbliche assorbe la maggior parte della spesa, il 62,6%, ripartita tra assistenza ospedaliera (35,5%) e altri servizi sanitari (27,3%). Le prestazioni erogate in convenzione da strutture private riguardano invece una pluralità di servizi come l’assistenza medica (10,8% della spesa, di cui generica 6,2% e specialistica 4,6%), l’assistenza ospedaliera in case di cura private (8,9%), altre prestazioni sanitarie in convenzione (7,3%), i farmaci (7%) e l’assistenza riabilitativa, integrativa e protesica (3,3%).
Il peso dell’assistenza sanitaria pubblica è rimasto sostanzialmente stabile nel tempo (era 62,4% nel 1995) ma è cambiata la sua composizione: l’assistenza ospedaliera ha perso rilevanza (nel 1995 era 40,7%) a favore di altre tipologie di servizi sanitari.
I Farmaci, che oggi occupano il penultimo posto tra le prestazioni sanitarie erogate in convenzione col privato (7%), fino al 2009 erano invece al primo, con il picco massimo del 16,6% nel 2001. Dal 2010, sempre tra le prestazioni in convenzione, è invece l’assistenza medico generica e specialistica a rappresentare la quota di spesa più importante, stabile intorno all’11%.
Assegni e sussidi la prima voce di spesa tra le prestazioni assistenziali
L’assistenza sociale viene fornita in prevalenza in denaro (83%) ma anche in natura, sotto forma di servizi erogati direttamente da strutture pubbliche o in convenzione col privato (17%).
Nel 2019, per la prima volta dal 1995, non sono più le prestazioni a invalidi civili, ciechi e sordomuti ad assorbire la quota maggiore di spesa (35,2%, 16,5 miliardi) ma la categoria degli altri assegni e sussidi (37,8%, 19,9 miliardi). Quest’ultima ha avuto un peso residuale fino al 2013 ma, a partire dal 2014, con l’introduzione del c.d. bonus 80 euro, è fortemente cresciuta contribuendo a portare l’intero ammontare speso per assistenza sociale per la prima volta sopra la soglia del 9%; la crescita è proseguita fino al 2019, anno in cui ha raggiunto il massimo peso dell’intero periodo (11%) per l’effetto aggiuntivo dell’introduzione del reddito di cittadinanza.
Tra le altre prestazioni assistenziali figurano poi, con il 17% della spesa, quelle erogate sotto forma di servizi (asili nido, case di riposo per gli anziani, supporto alle persone non autosufficienti e molto altro), le pensioni e assegni sociali, cui è destinato il 9,8%, e le pensioni di guerra (0,8%).
Protezione sociale finanziata da trasferimenti pubblici e contributi sociali
Il sistema della protezione sociale pubblica è costato complessivamente 496 miliardi di euro nel 2019: il 96,5% per offrire prestazioni sociali alle famiglie (478,7 miliardi), il 2,1% per i servizi amministrativi, ovvero le spese di funzionamento delle strutture che erogano le prestazioni (10,2 miliardi), l’1,4% per altri costi di mantenimento del sistema (7 miliardi).
Il finanziamento prevalente è arrivato sotto forma di trasferimenti da parte delle Amministrazioni pubbliche (50,1%) e di contributi sociali (48,3%) e solo in minima parte da altre tipologie di finanziamento, quali trasferimenti da privati, interessi sui prestiti erogati alle famiglie dagli enti di previdenza e altro (complessivamente, l’1,6%).
Il peso preponderante delle entrate da trasferimenti pubblici caratterizza il nostro sistema di protezione sociale negli ultimi anni, in cui la sanità e l’assistenza sono integralmente a carico della fiscalità generale mentre la previdenza è in larga parte finanziata dal versamento dei contributi sociali.
Fino al 2011 erano invece i contributi sociali a rappresentare la prima fonte di finanziamento. Dall’anno seguente la situazione si capovolge e persiste fino a oggi, nonostante la crescita consistente della riscossione di contributi negli ultimi tre anni (+3,1% annuo in media negli anni 2017-2019), dopo un lungo periodo di dinamica quasi nulla (+0,4% tra il 2009 e il 2016).
Nell’Unione europea ogni abitante riceve in media 8.070 euro all’anno per prestazioni sociali (dati 2017, gli ultimi disponibili per un confronto europeo). Questo importo include le spese sanitarie, le pensioni e tutte le altre tipologie di prestazioni previdenziali e assistenziali. L’Italia rispecchia quasi esattamente il dato medio europeo, essendo pari a 8.041 euro la spesa socio-sanitaria di cui beneficia ciascun residente nel nostro Paese.
Le situazioni sono estremamente diversificate tra i Paesi dell’Unione. La spesa media pro capite più bassa si osserva in Bulgaria e Romania (rispettivamente, 1.211 e 1.349 euro l’anno), quella più alta in Lussemburgo, con 20.514 euro, e in Danimarca (15.616 euro l’anno).
Fino al 2008, ultimo anno prima della grande crisi economica, la spesa pro capite era di 6.488 euro in Europa, e ben più alta della media Ue in Italia (7.073 euro). Tutti i paesi europei, ad eccezione di Grecia e Ungheria, mostrano nel 2017 spese pro capite superiori a quelle del 2008.
Ulteriori differenze tra Paesi europei emergono considerando la spesa in rapporto al Pil. Il Lussemburgo, che è il primo paese in termini di spesa pro capite è il 15esimo considerando quest’ultimo indicatore, mentre l’Italia occupa il settimo posto in graduatoria (28,0% del Pil) contro il dodicesimo per spesa pro capite. In rapporto al Pil la spesa italiana è superiore alla media europea (26,8%) ma inferiore a quella della Francia che è in testa alla graduatoria con il 31,7%.
Vecchiaia e malattia i rischi più protetti in Europa
A livello europeo le prestazioni sociali vengono raggruppate in 8 categorie (malattia/salute, invalidità, vecchiaia, superstiti, famiglia/figli, disoccupazione, alloggio e altra esclusione sociale), a seconda del rischio, evento o bisogno sociale che viene coperto.
Tra i rischi inclusi nella protezione sociale, quello più oneroso in assoluto per quasi tutti i Paesi è la vecchiaia che assorbe il 40,5% delle prestazioni erogate nella Ue28 nel 2017; solo Irlanda e Germania fanno eccezione. Pur restando la prima categoria di spesa, al rischio vecchiaia venivano destinate ancora più risorse fino al 2008, cioè prima delle misure adottate per contenere la spesa pensionistica, quando il peso era pari al 47,6%.
L’Italia supera di molto la quota media europea, arrivando al 48,8% delle prestazioni erogate contro il rischio vecchiaia, ma in cima alla graduatoria figurano Grecia (53,2%), Romania (51,8%) e Portogallo (50,7%). All’opposto spiccano per le quote di spesa più basse l’Irlanda, che gli dedica meno di un terzo delle prestazioni erogate (31,8%), il Lussemburgo (32,0%) e la Germania (32,2%).
Con il 29,5% della spesa per protezione sociale, il secondo rischio maggiormente protetto in Europa è quello della malattia/salute, che include tutte le spese sanitarie erogate ai cittadini dal sistema pubblico o con esso convenzionato e le indennità di malattia e infortuni.
In questo caso l’Italia si colloca sotto la media europea, dedicando alla protezione della salute dei cittadini solo il 23,1% delle prestazioni erogate. Irlanda e Germania spendono in proporzione di più in ambito sanitario, rispettivamente il 38,9% e il 35,0% e sopra il 30% si attestano anche Malta (34,3%), Slovenia (34,0%), Olanda e Croazia (entrambi, 33,7%).
Francia e Spagna si posizionano sotto la media europea (28,7% e 26,7%) ma le quote sono molto superiori a quella italiana. Fanalino di coda in Europa per spesa sanitaria è Cipro con solo il 18,3%, preceduto dalla Grecia (20,3%).
Tra il 2008 e il 2017 la composizione della spesa per protezione sociale è cambiata molto nei paesi Ue. Le misure di contenimento della spesa pensionistica (voce principale della categoria vecchiaia) hanno ridotto di 7,2 punti percentuali la quota di spesa per vecchiaia ma anche quelle per la famiglia (-2,3 punti percentuali), per gli invalidi (-1,5), e, in misura minima, per la disoccupazione (-0,1 punti). È invece cresciuto il peso delle spese per malattia/salute (+4,2), per superstiti (+4,1), e in misura minore per alloggio (+1,5) e altre forme di esclusione sociale (+1,4).