Gli stereotipi sui ruoli di genere più comuni sono: “per l’uomo, più che per la donna, è molto importante avere successo nel lavoro” (32,5%), “gli uomini sono meno adatti a occuparsi delle faccende domestiche” (31,5%), “è l’uomo a dover provvedere alle necessità economiche della famiglia” (27,9%).

Quello meno diffuso è “spetta all’uomo prendere le decisioni più importanti riguardanti la famiglia” (8,8%).

Il 58,8% della popolazione (di 18-74 anni), senza particolari differenze tra uomini e donne, si ritrova in questi stereotipi, più diffusi al crescere dell’età (65,7% dei 60-74enni e 45,3% dei giovani) e tra i meno istruiti.

Gli stereotipi sono più frequenti nel Mezzogiorno (67,8%), in particolare in Campania (71,6%) e in Sicilia, e meno diffusi al Nord-est (52,6%), con il minimo in Friuli Venezia Giulia (49,2%).

Sul tema della violenza nella coppia, il 7,4% delle persone ritiene accettabile sempre o in alcune circostanze che “un ragazzo schiaffeggi la sua fidanzata perché ha civettato/flirtato con un altro uomo”, il 6,2% che in una coppia ci scappi uno schiaffo ogni tanto. Rispetto al controllo, invece, sono più del doppio le persone (17,7%) che ritengono accettabile sempre o in alcune circostanze che un uomo controlli abitualmente il cellulare e/o l’attività sui social network della propria moglie/compagna.

Sardegna (15,2%) e Valle d’Aosta (17,4%) presentano i livelli più bassi di tolleranza verso la violenza; Abruzzo (38,1%) e Campania (35%) i più alti. Ma nelle regioni le opinioni di uomini e donne sono diverse.

Alla domanda sul perché alcuni uomini sono violenti con le proprie compagne/mogli, il 77,7% degli intervistati risponde perché le donne sono considerate oggetti di proprietà (84,9% donne e 70,4% uomini), il 75,5% perché fanno abuso di sostanze stupefacenti o di alcol e un altro 75% per il bisogno degli uomini di sentirsi superiori alla propria compagna/moglie. La difficoltà di alcuni uomini a gestire la rabbia è indicata dal 70,6%, con una differenza di circa 8 punti percentuali a favore delle donne rispetto agli uomini.

Il 63,7% della popolazione considera causa della violenza le esperienze violente vissute in famiglia nel corso dell’infanzia, il 62,6% ritiene che alcuni uomini siano violenti perché non sopportano l’emancipazione femminile mentre è alta ma meno frequente l’associazione tra violenza e motivi religiosi (33,8%).

A una donna che ha subito violenza da parte del proprio compagno/marito, il 64,5% della popolazione consiglierebbe di denunciarlo e il 33,2% di lasciarlo. Il 20,4% della popolazione indirizzerebbe la donna verso i centri antiviolenza (25,6% di donne contro 15,0% di uomini) e il 18,2% le consiglierebbe di rivolgersi ad altri servizi o professionisti (consultori, psicologi, avvocati, ecc.). Solo il 2% suggerirebbe di chiamare il 1522.

Persiste il pregiudizio che addebita alla donna la responsabilità della violenza sessuale subita. Addirittura il 39,3% della popolazione ritiene che una donna è in grado di sottrarsi a un rapporto sessuale se davvero non lo vuole. Anche la percentuale di chi pensa che le donne possano provocare la violenza sessuale con il loro modo di vestire è elevata (23,9%). Il 15,1%, inoltre, è dell’opinione che una donna che subisce violenza sessuale quando è ubriaca o sotto l’effetto di droghe sia almeno in parte responsabile.

Per il 10,3% della popolazione spesso le accuse di violenza sessuale sono false (più uomini, 12,7%, che donne, 7,9%); per il 7,2% “di fronte a una proposta sessuale le donne spesso dicono no ma in realtà intendono sì”, per il 6,2% le donne serie non vengono violentate. Solo l’1,9% ritiene che non si tratta di violenza se un uomo obbliga la propria moglie/compagna ad avere un rapporto sessuale contro la sua volontà.

Il quadro che emerge dalla lettura dei risultati del modulo sugli stereotipi sui ruoli di genere e sulla violenza sessuale, incluse le opinioni sull’accettabilità della violenza nella coppia e sulle sue possibili cause, mostra cinque profili: due rappresentano gli individui con le convinzioni più stereotipate (36,3%), due quelle meno stereotipate (62%) e un gruppo si qualifica per l’indifferenza rispetto al tema (1,8%).

La rilevazione statistica sugli stereotipi sui ruoli di genere e l’immagine sociale della violenza, realizzata dall’Istat nel quadro di un Accordo di collaborazione con il Dipartimento per le Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio, consente di analizzare modelli culturali e fattori che influenzano gli atteggiamenti verso la violenza contro le donne.

La violenza contro le donne e, in particolare, la violenza domestica, rappresentano fenomeni multiformi e complessi, la cui conoscenza è essenziale per lo sviluppo delle politiche di contrasto e la costruzione del sistema di monitoraggio della violenza contro le donne. Questi fenomeni sono radicati nella cultura di genere ed è per questo che si rende necessario rilevare i modelli stereotipati legati ai ruoli delle donne e degli uomini così come l’immagine sociale della violenza.

Il radicamento degli stereotipi sui ruoli di genere, da una parte, e l’atteggiamento verso i comportamenti violenti, dall’altra, sono, infatti, le chiavi di lettura per comprendere il contesto culturale in cui le relazioni violente trovano genesi e giustificazione. La loro conoscenza è essenziale per comprendere meglio le cause della violenza e monitorarle nel tempo, al fine di valutare, almeno parzialmente, l’impatto sulla popolazione delle politiche inerenti la prevenzione della violenza in termini di cambiamento culturale.

 

Poche le differenze tra uomini e donne rispetto agli stereotipi sui ruoli di genere

Nel corso della rilevazione è stato chiesto agli intervistati il loro grado di adesione su alcune affermazioni stereotipate riguardo il ruolo della donna nella sfera lavorativa ed economica, le decisioni familiari e la gestione della casa. Con almeno una delle affermazioni il 58,8% della popolazione si dichiara molto o abbastanza d’accordo, il 22,4% molto d’accordo.

Più in dettaglio, il 27% della popolazione esprime la propria adesione a un solo quesito, il 15,8% a due e il 15,9% a 3 o più. Il 22,5% della popolazione, senza sostanziali differenze fra uomini e donne, non è d’accordo con alcuno degli stereotipi considerati.

Gli stereotipi sono più diffusi tra le persone più avanti negli anni (65,7% dei 60-74enni contro 45,3% dei giovani), tra i meno istruiti (79,6% fra coloro senza titolo di studio o con licenza elementare contro 45% dei laureati) e tra chi ha una professione come operaio o lavoratore in proprio/coadiuvante.

Il Sud e la Sicilia presentano quote più alte di persone che sono d’accordo con gli stereotipi sottoposti. Il valore massimo si stima in Campania dove il 71,6% della popolazione concorda con almeno uno stereotipo, il minimo in Friuli Venezia Giulia (49,2%).

Se tra maschi e femmine non emergono particolari differenze sul territorio nazionale, a Bolzano, in Lombardia e in Basilicata le donne rivelano opinioni meno aperte rispetto agli uomini della stessa area geografica; al contrario sono gli uomini dell’Abruzzo, della Calabria, della Liguria, del Veneto, della Puglia e del Molise ad avere più pregiudizi rispetto alle donne.

 

Ancora diffuso lo stereotipo del successo nel lavoro più importante soprattutto per l’uomo

Lo stereotipo più comune è quello inerente il successo nel lavoro; infatti il 32,5% delle persone tra i 18 e i 74 anni si dichiara molto o abbastanza d’accordo sull’affermazione che per l’uomo, più che per la donna, sia molto importante avere successo nel lavoro. L’opinione che gli uomini siano meno adatti a occuparsi delle faccende domestiche è il secondo stereotipo (31,4%), seguito dalla convinzione che sia soprattutto l’uomo a dover provvedere alle necessità economiche della famiglia (27,9%). Meno radicata, invece, l’idea che in condizioni di scarsità di lavoro, i datori di lavoro dovrebbero dare la precedenza agli uomini rispetto alle donne (16,1%). Solo l’8,8% ritiene che spetti all’uomo prendere le decisioni più importanti riguardanti la famiglia.

Guardando alle opinioni sulle singole affermazioni, non risaltano grandi differenze tra uomini e donne, con alcune eccezioni. Gli uomini sono più convinti che debbano essere loro a prendere le decisioni in famiglia (il 10,7% è molto o abbastanza d’accordo contro il 7,1% delle donne) mentre le donne sostengono che per l’uomo è più importante avere successo nel lavoro rispetto alle donne (34,7% di donne e 30,3% di uomini). Solo per i titoli di studio più bassi la differenza si inverte: sono molto o abbastanza d’accordo il 45,3% delle donne contro il 49,6% degli uomini.

Le differenze tra i diversi livelli di istruzione influenzano le opinioni su chi debba provvedere alle necessità economiche della famiglia. Il 54,7% di chi ha un titolo di studio elementare o non ha titolo di studio ritiene che sia l’uomo a dover provvedere alle necessità economiche contro il 10,8% dei laureati; per gli uomini queste differenze sono ancora più marcate (66% e 13,2%).

Nella stessa direzione va lo stereotipo circa l’inadeguatezza degli uomini a svolgere le faccende domestiche, che distanzia di circa 35 punti percentuali chi ha un titolo di studio elevato da chi non lo possiede. In questo caso però, sono le donne a presentare di più lo stereotipo, il 55% delle donne con basso titolo di studio contro il 51,9% degli uomini nella stessa posizione. Le donne laureate sono meno d’accordo con questa affermazione (15,9% dei casi contro 21,9% per gli uomini).

 

Pochi ritengono accettabile la violenza fisica nella coppia, ma il controllo è lecito

Il 91% delle persone di 18-74 anni ritiene che non sia mai accettabile che “un ragazzo schiaffeggi la sua fidanzata perché ha civettato/flirtato con un altro uomo”, il 92,3% che in una coppia ci scappi uno schiaffo ogni tanto, l’80,6% che un uomo controlli abitualmente il cellulare e/o l’attività sui social network della propria moglie/compagna.

Il controllo è invece tollerato (per il 16,8% dei cittadini in alcune circostanze e per lo 0,9% sempre) soprattutto tra i più giovani (30,3% dei ragazzi di 18-29 anni e 27,1% delle ragazze della stessa fascia d’età).

I laureati manifestano livelli più bassi di tolleranza (15,1%) con differenza tra le laureate (13,6%) e i laureati (16,9%).

Sul territorio la quota di chi ritiene il controllo accettabile in alcune circostanze supera il 20% al Sud e in Sicilia, Abruzzo 26,1%, Basilicata 25,2%, Campania e Sicilia 23,2%, Molise 22,5%, Calabria 21,5%, Puglia 20,4%. L’alto valore della Basilicata, tuttavia, va letto alla luce delle differenze molto marcate tra uomini e donne: l’accettabilità del controllo è, infatti, pari al 35,9% per gli uomini e al 14,6% per le donne.

La quota di persone che ritiene accettabile “sempre” o almeno “in alcune circostanze” la violenza o il controllo nella coppia è pari al 25,4% (27,3% uomini e 23,5% donne). I livelli minimi sono riscontrabili in Sardegna e in Valle d’Aosta (rispettivamente 15,2% e 17,4%). L’Abruzzo (38,1%) e la Campania (35%) hanno, invece, livelli più elevati di tolleranza ma, mentre in Abruzzo sono soprattutto gli uomini ad avere questa opinione (il 47,2% degli uomini ritiene accettabile la violenza contro il 29,2% delle donne), la Campania non è connotata da elevate differenze di genere (39,5% di uomini contro 30,8% di donne). Le differenze di genere sono quasi nulle in Sicilia e in Lombardia, mentre in alcune regioni del Nord (Veneto, Valle d’Aosta e Provincia autonoma di Trento) e in Umbria sono le donne a presentare percentuali maggiori di accettabilità.

Percezione di una violenza molto diffusa per il 47,7% di donne e il 30,8% di uomini

Per il 39,3% della popolazione tra i 18 e i 74 anni la violenza fisica o sessuale subita dalle donne da parte dei propri compagni, mariti, conviventi o fidanzati, è molto diffusa, per il 47,8%, abbastanza diffusa e per l’8,5% poco o per niente diffusa. Quasi la metà delle donne pensa che questo fenomeno sia molto diffuso, così come il 47,9% di chi non ha nessun titolo o solo le elementari e il 46,2% di chi ha la licenza media. Per il 54,5% dei laureati e il 51,2% dei diplomati la violenza nella coppia è, invece, abbastanza diffusa.

Guardando alle regioni, la Sardegna spicca per la quota di quanti ritengono molto diffusa la violenza nella coppia, ma al contrario delle altre regioni sono più gli uomini ad avere questa opinione (55,0% contro 47,4% delle donne).

 

La donna come oggetto di proprietà: la causa più diffusa della violenza nella coppia

Tra le possibili cause della violenza nella coppia sottoposte agli intervistati e alle intervistate, quella rilevata più frequentemente è considerare le donne come oggetti di proprietà (77,7% della popolazione, in particolare 84,9% donne e 70,4% uomini). Sono soprattutto le giovani a indicare questa causa (92,9% delle donne di 18-29 anni contro 76,7% dei loro coetanei) e le donne con un elevato titolo di studio (90,1% delle laureate contro 75,3% dei laureati).

La seconda causa indicata è l’abuso di sostanze stupefacenti o di alcol (75,5%), senza particolari differenze di genere; segue il bisogno degli uomini violenti di sentirsi superiori alla propria compagna/moglie (75% dei casi). Quest’ultima motivazione però è riportata più di frequente dalle donne (81,3%) rispetto agli uomini (68,5%), in particolare dalle ragazze di 18-29 anni (88,5%) rispetto ai ragazzi della stessa età (75,2%) e dalle persone laureate (81,4% contro 62,7% di chi ha titolo di studio elementare o nessun titolo).

La difficoltà degli uomini a gestire la rabbia è segnalata dal 70,6% delle persone, con una differenza di 8,2 punti percentuali tra donne e uomini (rispettivamente 74,6% e 66,4%); il 63,7% pone invece l’attenzione sulle esperienze negative di violenza subita o assistita in famiglia da bambini mentre un ulteriore 62,6% ritiene che alcuni uomini siano violenti perché non sopportano l’emancipazione femminile. Anche in questo caso la differenza tra i due sessi è elevata, lo affermano il 69,9% delle donne e il 55,2% degli uomini.

Infine, il 33,8% della popolazione associa la violenza di genere a motivi religiosi: questa quota raggiunge il 39% tra i giovani di 18-29 anni e il 40,2% tra i laureati (21,7% tra le persone senza titolo di studio o con titolo di studio elementare).

Le differenze tra i titoli di studio sono più evidenti quando si parla della violenza dovuta al bisogno degli uomini di sentirsi superiori alla propria compagna, indicato dall’81,4% di chi ha una laurea e dal 62,7% di chi ha un titolo di studio basso o non lo possiede affatto, e quando il motivo della violenza viene individuato nel considerare la donna come oggetto di proprietà (rispettivamente 83,3% e 68%).

A livello territoriale, l’unica causa per cui si riscontrano differenze nette sono i motivi religiosi, maggiormente indicati al Centro-nord, con un picco nel Friuli Venezia Giulia (45,7%), e meno al Sud, mentre le altre cause hanno una diffusione regionale a macchia di leopardo.

La difficoltà a gestire la rabbia è segnalata più spesso in Friuli Venezia Giulia e in Umbria (rispettivamente 75,6% e 75,1% dei casi), meno in Calabria (64,3%). La considerazione della donna come un oggetto di proprietà è più frequente nella provincia di Trento (81,9%), di nuovo in Friuli Venezia Giulia (81,2%) e in Emilia Romagna (80,3%) mentre lo è meno in Abruzzo (71,6%), Calabria (72,9%) e nella provincia autonoma di Bolzano (72%). Le esperienze negative avute da bambini sono indicate in misura percentuale più elevata nella provincia di Bolzano (68,1%) e in Basilicata (68,0%), mentre l’emancipazione della donna è individuata maggiormente dagli abitanti dell’Emilia Romagna e meno da quelli di Valle d’Aosta, Molise, Abruzzo.

La Toscana e alcune regioni del Nord, in particolare il Friuli Venezia Giulia, l’Emilia Romagna e la Lombardia, segnalano più di frequente come motivo della violenza il bisogno di sentirsi superiori alla propria compagna, mentre in Sardegna, Lazio, Trentino Alto Adige, Molise e di nuovo Lombardia e Friuli Venezia Giulia è additato più spesso che in altre regioni l’abuso di alcool e di sostanze stupefacenti come causa della violenza in famiglia.

Considerando le tre possibili cause della violenza che si concentrano sul ruolo della donna e la relazione con il partner (la donna considerata come oggetto, l’uomo che deve ribadire la sua superiorità e il fastidio per l’emancipazione della donna) emerge come queste vengano indicate tutte e tre dal 51,3% della popolazione, con una prevalenza decisa delle donne (60,7%) e, in particolare, delle 30-44enni (63%), rispetto agli uomini (41,1%). Quote maggiori si hanno in Emilia Romagna (57,2%) e Friuli Venezia Giulia (54,3%), seguite da Puglia, Campania, Provincia autonoma di Trento e Toscana.

Il consiglio più frequente per le vittime è denunciare la violenza

Se conoscesse una donna che ha subito violenza da parte del proprio compagno, il 64,5% della popolazione tra i 18 e i 74 anni le consiglierebbe di denunciare il compagno alle forze dell’ordine, mentre un terzo della popolazione (33,2%) le direbbe di lasciarlo. Il 20,4% indirizzerebbe la donna ai centri antiviolenza (25,6% delle donne contro 15,0% degli uomini), il 18,2% le consiglierebbe di rivolgersi ad altri servizi o professionisti (consultori, psicologi, avvocati, ecc.) e solo il 2% esorterebbe a chiamare il 1522. Il 3,8%, invece, consiglierebbe alla donna di provare a parlare con il compagno, il 2,6% non saprebbe cosa fare o consigliare e l’1,1% degli intervistati non darebbe consigli per non intromettersi in questioni familiari che non li riguardano.

Tra coloro che consiglierebbero di provare a parlare con il partner, il 13,5% consiglierebbe anche di lasciarlo, mentre oltre un terzo (38,4%) suggerirebbe anche di denunciare. Il 17,8% della popolazione consiglierebbe sia di denunciare il partner violento, sia di lasciarlo, mentre il 9,5% oltre alla denuncia, indirizzerebbe la donna a un centro antiviolenza.

L’utilità della denuncia in caso di violenza è riconosciuta in modo preponderante dai giovani (69,6% degli intervistati di 18-29 anni) rispetto agli intervistati di età maggiore (56,3% delle persone tra i 60 e i 74 anni), per i quali rimane comunque la reazione più consigliata.

Per entrambi i sessi, al crescere del livello di istruzione aumentano le persone che consiglierebbero a una donna vittima di violenza di cercare aiuto rivolgendosi a istituzioni o servizi.

I laureati suggerirebbero con più frequenza di denunciare il compagno (70,1% contro 51,7% di chi non ha alcun titolo di studio o ha la licenza elementare), di rivolgersi ai centri antiviolenza (30,3% contro 6,7%) o ad altri servizi o professionisti (25,3% contro 6,8% di chi ha nessun titolo o le elementari). Le donne laureate, in particolare, sono quelle che inviterebbero in maggior misura a recarsi a un centro antiviolenza (35,1%) e sono quelle che meno suggerirebbero di parlare con il compagno (1,5%).

Viceversa chi ha un titolo di studio più basso consiglierebbe con più frequenza di parlare con il proprio partner (5,5%) o di lasciarlo (39,3%).

La denuncia del compagno violento è il consiglio più frequente in tutte le regioni (si va dal valore massimo del Lazio, 69,7%, al minimo di Bolzano con il 46,1%). A Bolzano è più elevata, invece, la quota di persone che suggerirebbero di rivolgersi a servizi di professionisti (39,6% contro solo il 18,2% in media Italia) e di chiamare il 1522 (18,3% contro 2%).

Lasciare il compagno violento è il consiglio più diffuso in Campania (44,3% dei casi contro il dato nazionale di 33,2%) soprattutto tra le donne (48,0% rispetto al 34,3% del dato nazionale).

“Indirizzare ai centri antiviolenza” è una via segnalata con più frequenza dagli abitanti della provincia di Bolzano (36,9% per gli uomini e 34,6% delle donne), del Friuli Venezia Giulia (26,2% degli uomini e 32,8% delle donne), nonché dalle donne dell’Emilia Romagna (34,2%), Veneto (32,9%) e Liguria (32,2%).

Poche le differenze tra uomini e donne negli stereotipi sulla violenza sessuale

Se la violenza ha basi profonde nelle radici culturali, è importante conoscere il modo di pensare delle persone rispetto alla violenza sessuale e alle donne che la subiscono.

Il 54,6% della popolazione è molto o abbastanza d’accordo con almeno uno degli stereotipi sulla violenza sessuale considerati nell’indagine[1]. Questa quota aumenta all’aumentare dell’età (47,6% di chi ha 18-29 anni e 61,8% dei 60-74enni), per i titoli di studio più bassi (64,1% contro 42,4% dei laureati) ed è maggiore tra gli uomini (57,5% contro 51,7%).

In Basilicata quasi il 69,8% della popolazione condivide almeno uno stereotipo sulla violenza sessuale (79,8% degli uomini e 60% delle donne), seguita a distanza di circa 10 punti percentuali, ma sempre sopra la media, da Campania e Puglia, provincia di Bolzano, Friuli Venezia Giulia, Marche e Veneto. Fortemente sotto la media, invece, la Liguria in cui solo il 40,4% della popolazione è d’accordo con almeno un’affermazione (42,1% degli uomini e 38,7% delle donne).

Le differenze di genere rispetto ai pregiudizi sulla violenza sessuale sono praticamente nulle in Campania, nelle Marche e nella provincia di Bolzano in cui sia gli uomini sia le donne riportano le stesse opinioni. Le regioni che presentano, invece, le differenze più marcate sono la Basilicata (quasi 20 punti percentuali in più degli uomini rispetto alle donne), il Friuli Venezia Giulia, l’Umbria (entrambe una differenza di circa 12 punti) e la Sardegna (10,8 punti).

Emerge dai dati la relazione tra gli stereotipi sulla violenza sessuale, gli stereotipi sui ruoli di genere e la tolleranza verso la violenza: la percentuale di chi è d’accordo con almeno uno stereotipo sulla violenza sessuale, il 54,6%, raggiunge il 62,9% tra le persone che hanno stereotipi sui ruoli di genere e il 68,1% tra chi ritiene accettabile la violenza contro le donne.

Gli stereotipi più comuni sono quelli secondo i quali una donna ha sempre una qualche responsabilità quando subisce violenza sessuale.

Il 39,3% della popolazione si dichiara molto o abbastanza d’accordo con l’affermare che “le donne che non vogliono un rapporto sessuale riescono a evitarlo”. Questa idea è più spesso degli uomini (41,9% contro 36,7%) e delle persone con livello di istruzione basso e medio basso. Tra i due sessi, le differenze sono accentuate tra i più giovani, ritiene che “le donne che non vogliono un rapporto sessuale possono evitarlo” il 41,4% dei ragazzi di 18-29 anni contro il 32,4% delle loro coetanee, e tra i più istruiti (il 37,9% dei laureati contro il 28,9% delle laureate).

L’idea che il modo di vestire possa provocare una violenza sessuale trova d’accordo il 23,9% della popolazione (il 6% molto e il 17,0% abbastanza), con quote simili tra uomini (23,8%) e donne (23,9%), ma molto differenziate per età e livello di istruzione. Il 32,4% delle persone tra 60 e 74 anni condivide questa affermazione contro il 15,4% dei giovani di 18-29 anni, così come il 39,6% di chi non ha nessun titolo di studio o ha la licenza elementare contro il 10,7% dei laureati.

Il 15,1% della popolazione crede che se una donna subisce una violenza sessuale quando è ubriaca o è sotto l’effetto di droghe sia almeno in parte responsabile, quota che raggiunge il 19,1% tra le persone di 60-74 anni, sia uomini che donne, e il 22,3% di chi ha livelli di istruzione bassi. Tra le donne, in particolare, la differenza è eclatante: ha questa opinione il 23,7% delle donne con nessun titolo o le elementari e il 6,3% delle laureate (per gli uomini si rileva rispettivamente 19,9% e 9,1%).

Per il 10,3% della popolazione spesso le accuse di violenza sessuale sono false. Questa opinione è più diffusa tra gli uomini (12,7%) che tra le donne (7,9%), per tutte le generazioni. Le percentuali inferiori caratterizzano le ragazze di 18-29 anni (5%) e i laureati senza differenze di genere (6,3% di entrambi i sessi).

Meno frequente è l’idea che di fronte a una proposta sessuale “le donne spesso dicono no ma in realtà intendono sì”, sostenuta dal 7,2% della popolazione. Sembra ancor più superato lo stereotipo secondo cui le donne serie non vengono violentate (molto o abbastanza d’accordo il 6,2% della popolazione), sebbene questo resti ancora relativamente diffuso tra le persone di 65-74 anni (9,7%) e tra le persone con nessun titolo o le elementari (14,9%). Infine pochi sono d’accordo, l’1,9%, con l’affermazione che “un marito/compagno che obblighi la moglie/compagna ad avere un rapporto sessuale contro la sua volontà, non commette violenza”.